Il volume Copia Forense e Trojan (Copia forense e Trojan, a cura di M. Antinucci, Nuova Editrice Universitaria, 2017) raccoglie i contributi presentati nel corso del convegno tenutosi a Roma il 12 luglio 2016, a cura dell’Ordine degli Avvocati della Capitale, sulla Genuinità della prova legale digitale nel processo penale italiano.
Nello specifico sono riportati gli interventi di un magistrato, avvocati, esperti di informatica forense e di intercettazioni e, a completamento della pubblicazione, è riportata una appendice documentale contenente la memoria per la Camera di Consiglio delle Sezioni Unite presentata dalla Procura Generale e la sentenza delle Sezioni Unite (sentenza “Scurato”) sulle cui conclusioni vertono gran parte delle analisi presentate.
L’uso del captatore nelle indagini di informatica forense
Gli interventi riportati nella pubblicazione focalizzano l’attenzione sull’uso di trojan o captatore. Il captatore è uno strumento software usato per inserirsi all’interno di un apparato informatico in uso a una persona sotto indagine e in grado di registrare azioni, suoni e immagini, violando quindi la privacy del legittimo possessore dell’apparato stesso.
Fino al 2015 la Corte di Cassazione, con la sentenza della VI sezione Penale del 26/05/2015 n. 27100 subordinava l’utilizzo di questo strumento alle condizioni stabilite dall’articolo 266 comma 2 cpp, vietandone qualsiasi altro uso che non rientrasse nelle fattispecie di cui alla norma citata. Negli stessi casi è consentita l’intercettazione di comunicazioni tra presenti; tuttavia qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, l’intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.
Nel mese di aprile 2016 la stessa VI Sezione, ha ritenuto di ritenere legittima la possibilità di utilizzare a fini di indagini questa tecnologia nei luoghi di dimora privata anche se nei predetti luoghi non si stia svolgendo attività criminosa, rimettendo tuttavia la questione alle Sezioni Unite stante anche il contrasto con la precedente pronuncia di cui si è dato cenno.
La sentenza delle Sezioni Unite n. 26889 del 1 luglio 2016 ha legittimato l’uso del trojan non solo nella situazione prospettata dalla Sezione rimettente ma in un ambito abbastanza ampio di situazioni nel caso in cui si stia indagando per delitti di criminalità organizzata, facendo leva sulla “pericolosità sociale” di tali delitti.
La preoccupazione degli avvocati, espressa negli interventi riportati nella pubblicazione, è che in nome delle richiamate esigenze di pericolosità sociale dei delitti di criminalità organizzata si arrivi in questo modo a comprimere e a limitare i diritti soggettivi, con particolare riguardo a quelli fissati dagli articoli 14 e 15 della nostra Costituzione.
Per tale motivo l’Avv. Gian Antonio Minghelli nel suo intervento auspica un tempestivo intervento del Legislatore (in linea con la riforma del Codice Penale e del Codice di Procedura Penale in questi giorni all’esame del Parlamento) per regolare l’uso, i presupposti e la tracciabilità dell’attività di uno strumento di captazione, tipo trojan – che, per esempio, per tutto l’arco della giornata, installato sullo smartphone, accompagna un cittadino indagato per associazione a delinquere – con tutte le problematiche connesse anche alle caratteristiche tecniche dello strumento (certificazione, gestione, controllo…) e che non sono stati approfonditi nella pronuncia delle Sezioni Unite ma che sicuramente emergeranno se e quando i tribunali si troveranno a dover affrontare i primi procedimenti in cui il captatore avrà avuto un ruolo importante nella formazione degli elementi di prova.
Il libro Captatori e copie forensi
Il libro apre un ventaglio di problemi e di discussioni che ogni giorno si alimentano di ulteriori conoscenze e casi, è ben comprensibile anche per chi non ha una base formativa particolarmente avanzata in materia di procedura penale e informatica forense e può essere utilizzato come strumento di formazione su una tematica di confronto nelle aule di giustizia e nelle sedi dottrinarie, anche perché molti problemi restano aperti dopo che le pronunce della Suprema Corte, talora discordanti da un anno all’altro, non hanno certo messo un sigillo alla problematica.
Diventare informatico forense
Per quanto concerne l’informatica forense e l’analisi forense di PC e smartphone, il contributo di Paolo Reale riporta ampi cenni a casi pratici di rilevanza mediatica nazionale che l’autore ha affrontato come consulente tecnico di parte di informatica forense analizzando i supporti informatici delle persone a vario titolo coinvolte in queste vicende giudiziarie.
Se per chi si trova a dover lavorare ogni giorno con perizie informatiche su apparecchiature informatiche l’articolo non aggiunge molto alle conoscenze possedute, per la sua chiarezza può essere molto utile per chi volesse diventare informatico forense per svolgere la professione di consulente tecnico al servizio di Tribunali, Procure o parti private.
Resta inteso che sarebbe comunque opportuno frequentare un corso per diventare informatico forense, privati oppure erogati nell’ambito di insegnamenti universitari come per il caso dell’insegnamento di Informatica forense dell’Università di Bologna, per ricevere una formazione migliore e sistematizzata sia su temi di diritto che tecnici.
Alfonso Buccini