L’Ordine d’Indagine Europeo (OIE) è stato introdotto nell’ordinamento italiano con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del D. Lgs. 108/2017.
La norma recepisce la direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, emanata con l’intento di rilanciare la mutua assistenza tra i paesi membri in materia penale e rafforzare l’obiettivo di sviluppare uno spazio condiviso di libertà, sicurezza e giustizia.
La direttiva riconosceva l’esigenza di introdurre nuovi strumenti di cooperazione giudiziaria a superamento di quelli in vigore fino a quel momento, giudicati troppo complessi e frammentari.
L’Ordine d’Indagine Europeo è un provvedimento emesso dall’Autorità Giudiziaria finalizzato a compiere atti di ricerca della prova o acquisire dati già disponibili nel territorio di un altro stato membro e si preannuncia come uno strumento d’indagine senza precedenti per efficienza e rapidità di esecuzione. In particolare, per i reati in cui la possibilità di raccogliere evidenze di natura digitale, l’Ordine di Indagine Europeo potrebbe costituire l’unico modo per portare all’identificazione degli esecutori.
Ambiti di applicazione dell’Ordine d’Indagine Europeo
Il legislatore nazionale ha distinto due ambiti di applicazione, relativi al caso in cui una richiesta pervenga dall’estero oppure al caso in cui sia l’autorità italiana ad emettere il provvedimento.
Nella prima ipotesi, il Procuratore della Repubblica competente per distretto ha il compito di emettere il decreto che riconosce la richiesta entro trenta giorni, sempreché questa sia ben formata, corrisponda a criteri di proporzionalità e non violi il principio del ne bis in idem nei confronti di persone già definitivamente giudicate in Italia.
Il fatto per cui si procede deve essere penalmente rilevante per la legge italiana, anche se è obbligatorio il riconoscimento della richiesta per categorie di reati particolarmente gravi, quando la pena prevista nello stato di emissione non sia inferiore nel massimo a tre anni. A questo proposito, è interessante notare come il legislatore abbia incluso tra questi anche i crimini informatici, che richiedono il massimo della tempestività e della collaborazione tra le autorità giudiziarie data la loro natura tipicamente cross border. Non a caso il limite temporale per l’esecuzione dell’ordine è fissato in 90 giorni, salvo termini anche più brevi specificati dall’autorità di emissione nei casi di urgenza.
Se da un lato è necessario che gli atti richiesti debbano essere previsti dal codice di procedura penale italiano, dall’altro l’ordine d’indagine è sempre valido quando l’attività non comporti un impatto sulla libertà personale o sull’inviolabilità del domicilio, come nel caso di esibizione di documentazione o di escussioni testimoniali. Ricade in questa fattispecie anche l’identificazione dei titolari di servizi informatici e telematici, anche se in questa circostanza il legislatore si è limitato a quelli davvero tradizionali come i numeri telefonici, gli indirizzi IP e quelli di posta elettronica, escludendo dall’elenco elementi d’indagine ormai imprescindibili come i profili dei social network o gli indirizzi associati alle criptovalute.
L’autorità di emissione può richiedere di partecipare agli atti nell’ambito di una squadra investigativa mista ed i propri incaricati godono della qualifica di pubblico ufficiale, soprattutto per le operazioni sotto copertura previste dall’articolo 9 della legge 146/2006. Di specifico interesse per l’informatica forense è l’articolo 23 del decreto che disciplina l’esecuzione dell’intercettazione di telecomunicazioni, se previste dall’ordinamento italiano per il caso di specie. Laddove il giudice per le indagini preliminari autorizzi, l’esecuzione comporta la trasmissione all’autorità di emissione dei flussi di comunicazione, immediatamente se già acquisiti oppure all’esito delle operazioni di intercettazione.
A questo riguardo, se la previsione di una richiesta di trascrizione dei contenuti appare normale, non altrettanto si può dire per le attività di decodifica o addirittura di decrittazione, dal momento che le problematiche tecniche connesse con il superamento delle onnipresenti tecnologie di cifratura dei dati potrebbero facilmente rivelarsi insormontabili.
Nell’ambito delle proprie attribuzioni sia il pubblico ministero che il giudice per le indagini preliminari possono emettere un ordine di indagine europeo nella lingua ufficiale di un altro paese membro, chiedendo di partecipare alle operazioni direttamente o, nel caso del PM, delegando la polizia giudiziaria. Le modalità di esecuzione ricalcano quelle già discusse nel caso di ricezione dell’ordine di indagine europeo dall’autorità italiana, in particolare per le intercettazione di comunicazioni e per le operazioni sotto copertura. I documenti in tal modo acquisiti entrano a far parte del fascicolo del dibattimento come previsto dall’art. 431 c.p.p.
Conclusioni sull’ordine di indagine europeo
In conclusione l’ordine di indagine europeo, pur con qualche sbavatura del legislatore nelle parti di specifica pertinenza dell’informatica forense, si connota come un ausilio di grande potenzialità per le indagini penali nel territorio europeo. Esso è predisposto per ottenere in modo rapido lo svolgimento di atti e la raccolta di documenti, superando le dilatate tempistiche del tradizionale regime rogatoriale ed è il frutto di un rinnovato slancio programmatico verso il progressivo consolidamento dello spazio penale europeo. Ad oggi l’ordine di indagine europeo è stato recepito dagli ordinamenti di 15 stati membri, tra cui Italia, Germania e Francia.
Corrado Federici